Un sorriso per difenderti e un passaporto per andare via lontano

Sei incinta, che splendida notizia! Hai 5 mesi di maternità che vuol dire lavorerai col pancione di 7 mesi e a 3 mesi saluterai il neonato e tornerai a lavorare. Soprattutto, sei incinta: da qui in poi il tuo stipendio si sgretola progressivamente, in qualche caso lo perdi del tutto.

Vuoi fare un’ecografia? Prego, sono quattro ore di attesa in ospedale, altrimenti sono 80/100 € in clinica per 10 minuti di visita. Vuoi sapere se ci sono rischi di malattie gravi per il feto? Certo, è comprensibile: con 600/1.200 € lo saprai. Ti senti male o devi fare una visita in più? Devi andare senza preavviso a farti visitare da qualcuno: puoi essere accolta in un ospedale sempre affollatissimo e dal relativo personale esasperato da turni di 12 ore, incazzato nero, stanco e ruvidissimo.

Se nonostante tutto questo riesci a portare a termine la gravidanza, congratulazioni, tu ed il tuo partner siete diventati genitori! Da questo momento parte una giostra di pannolini, traversine, salviettine, saponini cremine: 200€ al mese minimo.

La scuola dell’infanzia comincia a tre anni, cioè a 36 mesi. Il congedo di paternità obbligatorio dura 10 giorni (D-I-E-C-I giorni) quindi il padre, praticamente, non esiste; quello di maternità, come dicevo sopra, dura 5 mesi. 36-5 fa 31 che sono circa 930 giorni. Chiedi pure tutti i congedi, i permessi, le ferie che vuoi, non arriverai mai a coprire 930 giorni in quei 31 mesi. Se non vuoi perdere il posto, al lavoro ci devi andare. Come si fa? Non è una domanda retorica, lo chiedo proprio sinceramente: come si fa? Per alcun* la risposta sono i nonn* ma è una risposta crudele, ingiusta, per chi i nonn* non ce li ha e per chi non vuole sottoporli (peraltro persone statisticamente anziane) a un lavoro che non è più quello di nonn* ma è quello di baby sitter (tra l’altro, è una risposta che possono dare sempre in meno dato che le persone giovani, se vogliono sperare di avere un lavoro, devono raggiungere quelle poche regioni d’Italia in cui è più facile lavorare ed è implausibile che se li portino con loro).

E quindi? Quindi puoi chiamare una persona che faccia da baby sitter, certo, (se la trovi e ti fidi) a non meno di 600 € al mese, pagamento in nero, ovviamente. E se si ammala? Ti conviene pagarne due alla volta, così ne hai un* reperibile in caso di emergenza. Altrimenti? C’è l’asilo nido comunale in cui ci sono 4 posti liberi e 97 richieste. Vuoi provare quello privato? Puoi, certo, lì il posto c’è: 600 € al mese più extra pressoché obbligatori.

Metti che non trovi baby sitter e non riesci a organizzarti con l’asilo: devi stare a casa dal lavoro. Lo stesso vale per tutti i giorni in cui ci sarà uno sciopero, ma che importa: i tuoi capi non vedono l’ora di darti un permesso, almeno un giorno libero ogni settimana o quasi.

Pediatra, altra caccia al tesoro: ce ne sono quasi esclusivamente di molto anzian* e ognun* di loro ha un numero di assistiti che va oltre qualsiasi limite massimo di legge, per cui, l’ASL utilizza un unico criterio per effettuare l’assegnazione: ti da quell* con meno assistiti di tutti. Per farti assegnare quell* di cui hai fiducia o semplicemente un* che non si trova lontano da casa tua, devi fare richieste su moduli cartacei, aspettare, file, aspettare, chiedere favori, aspettare, senza ottenere niente: puoi solo sperare che qualche bambin* diventi abbastanza grande da liberare un posto così da poter fare la ricusazione a quell* che volevi. Nel frattempo? Vai da quell* che ti hanno assegnato oppure ti rivolgi al privato: 70/150 € a visita.

Per fortuna c’è l’assegno unico! Se però hai dei privilegi aristocratici irreali, tipo avere due stipendi in due oppure avere una casa di proprietà, allora sei un miliardario, allora per lo Stato italiano ti prendi il minimo del minimo, l’INPS non ti teme, non ha soldi da buttare per te.

Avere due stipendi e una casa di proprietà in Italia vuol dire far parte della classe media e a volte vuol dire anche fare una certa fatica, soprattutto se hai figl*. Vuol dire non solo che tutte le misure di welfare, tutti gli incentivi, tutti i sussidi, tutti i bonus ti schivano perché sono tutti diretti verso la fascia di persone che, per carità, è la meno abbiente, ma è anche quella che, per esempio, non paga l’Irpef e che comprende una montagna di evasori fiscali. Ovviamente la classe media viene considerata dal nostro sistema fiscale una fascia benestante per cui, ti viene applicata un’aliquota anche piuttosto alta: sei ricco, insomma, anche se non sai di esserlo.

Questi sono soltanto alcuni, ma davvero alcuni ostacoli di una giovane famiglia senza problemi, senza problemi di salute, senza problemi economici, nonostante viva al Sud, sicuramente non in uno dei posti che funziona meglio in Italia, anzi.

Se, invece, ti capita di avere dei problemi, una buona soluzione – l’unica soluzione, se ci credi, ma anche se non ci credi – è farti il segno della croce.

Ogni volta che si parla di crisi demografica bisognerebbe parlare anche di tutti gli ostacoli che scoraggiano qualsiasi giovane a fare figli. Bisognerebbe parlare dei servizi scadenti e ampiamente saturi, degli aiuti ridicoli proposti, di un mondo del lavoro che se ne fotte passivamente delle esigenze dei genitori, della nessunissima attenzione mediatica dedicata ai giovani genitori. Non parliamo nemmeno degli orari della scuola o del calendario scolastico e dei tre mesi di vacanze estive, totalmente incompatibili con la vita di chi deve lavorare. E non parliamo nemmeno di tutte le difficoltà che hanno le famiglie Arcobaleno, per le quali, a quelle sopra descritte, si sommano le molte altre dovute a varie categorie di luminari (pro-vita, fascisti, bigotti, falsi burocrati e, in generale, emeriti imbecilli).

Avere figl* è una scelta personale importante, certo, ma la si può incoraggiare, la si può rendere più facile o più difficile, come per ogni cosa. Se la si vuole incoraggiare, però, servono investimenti, investimenti veri, seri, non chiacchiere, non l’enunciazione di proclami fuffa su come dovrebbe essere la realtà ma il confronto con la realtà concreta, quella che esiste a prescindere da ciò che diciamo e pensiamo.

Qualcun* invece è convinto che basti dire che bisogna fare più figl*, o che le persone si sono impigrite o che sia naturale e normale pensare ai figl* così come ci si pensava negli anni Sessanta. Certo che erano più semplici le cose negli anni Sessanta: l’operaio della Fiat andava a lavorare e riusciva a mantenere l’intera famiglia non perché stessero particolarmente bene ma perché il funzionamento di quel modello di società si basava sulla oppressione sistematica di qualsiasi desiderio e realizzazione personale delle donne, sul dare per scontato che il lavoro di cura dei figli (e non solo) fosse esclusivamente compito della donna, sul dare per assodato che l’intero sistema della natalità prevedesse il sacrificio regolare delle donne alle quali era sostanzialmente impedita la possibilità di lavorare.

Il nostro modello di welfare, il modello della società in cui viviamo oggi, ricalca ancora in moltissimi aspetti quel modello lì. E quindi, banalmente, il giocattolo ha smesso di funzionare visto che stiamo provando a stiracchiare logiche vecchie a un mondo nuovo che non può e non vuole accettarle invece di creare le condizioni per far affermare un modello nuovo e diverso.

La domanda vera da fare sui giornali, in TV, nella società, non è “ma perché non fate dei figli?” alle coppie senza figli ma dovrebbe essere, alle persone che di figli ne hanno fatti, “ma come fate, con i figli?”. Ne nascerebbero, vi garantisco, conversazioni molto costruttive,

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