Carissimo signor Tentenna

Ho sempre considerato la vergogna – tra tutte le emozioni presenti nel vasto spettro che l’essere umano è capace di provare – una delle più nobili. Wikipedia dice, tra le altre cose, che la vergogna “è un’emozione che accompagna l’auto-valutazione di un fallimento globale nel rispetto delle regole, scopi o modelli di condotta condivisi con gli altri; da una parte è un’emozione negativa che pone l’intero individuo al cospetto della propria inadeguatezza, dall’altra consiste nel rendersi conto di aver fatto qualcosa per cui possiamo essere considerati dagli altri in maniera totalmente opposta rispetto a quello che avremmo desiderato.”.

Quando sabato sera ho visto per la prima volta il video del “molestatore puccioso” la prima, immediata, emozione che ho provato è stata il disgusto: certo, per il molestatore puccioso di cui sopra ma soprattutto per il giornalista inquadrato e perbene collegato dallo studio che invitava a lasciar perdere, a far tesoro dell’esperienza, a rammaricarsi degli schiaffoni non dati – quando ancora in tenera età – agli individui come quelli coinvolti nelle performance oramai note a tutt*.

Se un uomo può spingersi, davanti alle telecamere di una diretta televisiva, a mettere una mano – dopo averci sputato sopra – sul culo ad una donna, in mezzo a decine di altre persone, se può farlo, se può ritenere un gesto del genere accettabile, sostenibile, probabilmente anche meritevole di pacche sulle spalle e sorrisini compiaciuti è per un, solo, semplice motivo: gli abusi, le molestie, le violenze nei confronti della donne sono state normalizzate in maniera profonda e radicata: sono sistemiche.

Se dopo aver assistito ad una roba del genere, un uomo col massimo del potere possibile in quel contesto (il conduttore televisivo, per definizione, conduce il programma e può svoltarlo come gli pare) trova conveniente permettere (permettere? LOLWUT?) di reagire ad una donna che è stata appena molestata (anche se sono abbastanza convinto che in un caso del genere si possa usare in maniera più che ficcante il termine violentata) purché non in diretta (sia mai che aggiungiamo un pizzico di complessità al post-partita di Empoli – Fiorentina, il pubblico potrebbe – giustamente – scandalizzarsi) significa che quanto è appena successo sotto i suoi occhi, banalmente, non ha alcuna importanza (sì, c’erano numerosissimi modi in cui si poteva reagire, no, non me ne fotte un cazzo dell’eventuale sorpresa nell’assistere a quella scena sei, o meglio, dovresti essere un professionista, no, in realtà non c’è stata alcuna sorpresa è che semplicemente nella sua scala dell’esecrabile un evento del genere non è contemplato) ma anzi – come del resto ha poi precisato successivamente l’energumeno in quello che evidentemente dev’essergli sembrato un ottimo argomento – era solo goliardia (non te la prendere, era solo goliardia sono modi diversi per dire la stessa cosa: facciamo un po’ quello che ci pare, se qualcun* s’offende, infastidisce o comunque lo trova sconveniente, noi stiamo scherzando, non te la prendere, stai al gioco, è tutto a posto, non è poi un gran problema; OMFG Michele! Non si può più dire niente, sei diventato schiavo del politicamente corretto: ci avete rotto il cazzo).

Ecco, tutto questo per dire che secondo me un buon modo per provare a rendere un po’ più umano questo mondo, un po’ più sensibile, un po’ meno machista e maschilista è l’istituzione di una nuova materia scolastica: la chiamerei Educazione alla vergogna che è un’emozione sana, preziosa e sempre più rara da trovare (e quindi, ben venga la sovraesposizione mediatica di individui come questi se implica la manifestazione, anche se forzata dal faro dell’attenzione solo momentanea, di vergogna). Studiare la materia approfonditamente potrebbe magari portare, in casi del genere, a risposte del tipo “sono un imbecille, cercate di scusarmi, non ci sono parole per definire le assurdità che dico e che faccio, mi vergogno profondamente e proverò a migliorare la testa di cazzo che sono, il fatto che ho una compagna, una figlia, un lavoro, che butto l’immondizia la sera, che faccio attraversare i vecchietti sulle strisce, che mi si stringe il cuore quando vedo dei gattini orfani, non sposta di un millimetro il fatto che sono veramente un coglione”. E, magari, potrebbe portare col tempo a meno mani sul culo e più mani in tasca.

Magari.

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