Perché niente è cambiato anche se tutto sembra diverso

Avere un’idea delle cose che sia il più possibile fedele alla realtà è sempre stata una cosa parecchio importante per me: l’analisi dei dati, i processi logici, la conoscenza dei fatti, la correlazione tra gli eventi sono probabilmente alcuni dei motivi per cui faccio il lavoro che faccio ma sono anche cose per le quali spesso mi capita di litigare.

Quando mi trovo a discutere di un qualche argomento di cui ho una conoscenza che va oltre il post buongiornissimo su un qualsiasi social, una cosa che mi trasforma è l’arroganza dei tuttologi improvvisati: documentarsi, approfondire, studiare è una roba che sembra non avere alcun valore, chiunque dice tutto su tutto, qualsiasi opinione ha una sua credibilità per il suo semplice esser stata espressa, unicamente perché chi la esprime esiste, c’è, si manifesta: loquor ergo sum.

Detto ciò, ci sono alcuni temi che, anche se approfonditi, studiati, documentati e a mio parere abbastanza ovvi nelle conclusioni, sembrano restare ugualmente sfuggenti, come ad esempio il perché il massacro di decine di migliaia Palestinesi (senza contare le colonie illegali, l’attacco sistematico a convogli di aiuti umanitari, la distruzione di ospedali, l’interruzione dell’approvigionamento dell’acqua e tante altre manovre che sono abbastanza sicuro rendano orgoglioso il signore delle tenebre) da parte di Israele che ha occupato territori abusivamente per decenni instaurando un regime che ha parecchie similitudini con l’apartheid non possa essere definito, semplicemente, per quello che è, e cioè, “genocidio” o “crimine di guerra” senza farci fare la uallera alla pizzaiola con la necessità di dover ogni volta premettere che sì, le uccisioni, gli stupri e le mutilazioni di Hamas sono state un atto criminale o che l’olocausto è stato un abominio; oppure il perché il dibattito sulla più grande minaccia per il futuro dell’ìntera umanità sia derubricato al se è giusto o meno lanciare pomodoro su dei pezzi di carta o se è giusto o meno sedersi sulle autostrade (da un po’ sappiamo però che è sicuramente giusto farlo quando guidi un trattore); oppure ancora perché il problema della bassa natalità in questo Paese sia sempre imputato alle donne che non vogliono stare a casa a figliare ma a fare “la carriera” e non invece al fatto che tutto (la lista sarebbe lunga, magari un giorno la scrivo) quello che orbita intorno alla scelta di fare figli, concepirli, crescerli sia a dir poco scoraggiante sotto qualsiasi punto di vista.

Sono tutti temi che qualche sincero democratico potrebbe non considerare così ovvi nelle conclusioni come faccio io, perché sono complessi, perché le contraddizioni, perché questo e quello ma che se si prova a cambiare prospettiva sembrano diventare ridicoli: tra le varie newsletter che seguo, c’è quella di Antonio Dini che in una delle ultime si concentra sulle dimensioni dell’universo in cui ci troviamo:

Quanto è grande l’universo? Lo sappiamo esprimere con dei numeri ma è difficile rendersene conto. Il mio modo personale è quello di trovare una scala comprensibile. Ecco come me lo racconto. Se il nostro Sole avesse le dimensioni di un granello di polvere (avete presente, quelli che si vedono solo quando sono sospesi in aria controluce), il nostro sistema solare planetario (escluse la fascia di Kuiper e la nube di Oort) avrebbe il diametro di un piattino da caffè. Il sistema solare planetario più vicino, Proxima Centauri, sarebbe un altro piattino da caffè posto a circa un isolato di distanza. Questo dà un’idea approssimativa della distanza tra i sistemi stellari della nostra galassia.

Ora, se disponessimo 100 miliardi di piattini da caffè su un piano, ognuno distante più o meno un isolato dai suoi vicini, l’insieme dei piattini da caffè coprirebbe l’intera superficie del continente nordamericano (e qui non stiamo parlando di profondità, ma solo di superficie). Quindi, il Nord America (che è quattro volte l’Europa) rappresenterebbe la superficie del disco della Via Lattea. Quindi, se il nostro Sole fosse grande come un granello di polvere e la nostra galassia, cioè la Via Lattea, fosse proporzionalmente grande come il Nord America, la galassia più vicina (Andromeda) si troverebbe a circa metà della distanza tra la Terra e la Luna.

Si potrebbe continuare cercando di calcolare le dimensioni degli ammassi galattici, dei super-ammassi (i cluster e i supercluster), e dei filamenti di galassie e presto saremmo comunque di nuovo in una scala astronomica. Insomma, l’universo è davvero molto grande, in una scala che è impossibile da comprendere perché è impossibile farne esperienza diretta. Va al di là della comprensione umana.

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