Alle 03:40 dell’8 Maggio 2010 pubblicai un post col titolo di questo stesso post su un mio vecchio blog (che ora è stato opportunamente nascosto perché era una roba veramente imbarazzante).
Sinceramente non so cosa mi passasse per la testa (ricordo bene il periodo, ricordo che dormivo molto, molto poco) per scrivere una cosa come quella ma devo dire che mi sono fatto un po’ divertire (e, contemporaneamente, inquietare) anche a distanza di quasi 11 anni, nonostante mi riesca difficile capire cosa volessi comunicare (ammesso che il proposito fosse quello di comunicare qualcosa). La copincollo di seguito.
Ironia era lì, nuda e sanguinante, senza uno straccio d’indumento per coprirsi. Era stata stuprata dall’intero gruppo di ragazzotti che, quella notte, decisero di provarne un’altra. Erano in cinque, tutti più o meno maggiorenni. Il più piccolo, quasi diciottenne, sembrava quello più a suo agio.
Era un mercoledì di Maggio, nella periferia di Napoli, di quelli che alle sei del pomeriggio, ancora non sai se finiranno davanti ad una birra nel solito sudicio pub, o davanti ad un Pc, mentre videogiochi o semplicemente arricchisci uno dei social network più in voga del momento, mentre ne ascolti uno a caso dei Beatles. Alle 19:47, Gustavo, il più grande di tutti, chiamò Carlo: “Stasera, usciamo, vero? Ho lavorato tutto il giorno ed ho veramente voglia di chiacchierare un po’ davanti ad una birra” – “Io veramente avrei da studiare…” – “Ok, si scende, chiamo gli altri”. Dopo una serie di telefonate, si aggiunsero Luca e Anselmo. Era superfluo avvertire Marco: ultimamente, bastava proporgli dell’alcool, e sarebbe sceso anche in mutande.
Si misero d’accordo per vedersi alle 21:30 nella solita piazzetta, di fronte quella chiesaccia sconsacrata, raduno notturno di drogati e puttane. Si sarebbero fatte le 22:00, ritardo doveroso per ogni uscita degna di tal nome. Saluti, convenevoli, bestemmie, canna. Decisero di andare a spiare la madre di Anselmo. Faceva la spogliarellista in un night ad un paio di chilometri da lì. Dopo svariati “ia, uagliù, che cazz”, curiosamente, il più entusiasta era proprio lui: il figlio. Si misero in macchina, e partirono. Ci fu una doverosa fermata in un pub: un cicchetto di rum ciascuno, per riscaldare la serata. Entrarono nel night. L’aria puzzava di sudore e grasso: non era ancora mezzanotte, ma sembrava già di respirare l’odore di quei tristi figuri che si scioglievano: grassoni sposati, clienti frequenti del posto. I ragazzi, si precipitarono verso la spogliarellista di turno. Anselmo diceva di conoscerla: l’aveva vista qualche giorno prima a casa di sua madre. Sua madre gli accennò appena di lei: gli disse che, per lungo tempo, s’era arrangiata a fare i lavori più umili, finché, stanca, s’era data al guadagno più o meno facile della spogliarellista. Non gli aveva detto altro.
Era molto bella, Ironia. Dimostrava a malapena vent’anni. Lunghi capelli neri, occhi color nocciola, un viso inconfondibile. Un fisico invidiabile, non al livello delle ragazzacce che pubblicizzano prodotti in pose provocanti in giro per le tivù, ma quanto bastava per ammaliare chiunque la vedesse. Almeno lì, in quel night.
I ragazzi, s’avvicinarono per vedere meglio. Marco rimase impietrito. Non distoglieva lo sguardo dal suo viso. Gli altri, più o meno, facevan tutti gli stessi ovvi pensieri. Ad eccezion di Luca: i suoi occhi avevano un brillio che aveva qualcosa a che fare con quel ch’era successo a Marco, ma con l’aggiunta di un qualcosa d’indescrivibilmente violento. Ingenuamente, si poteva vedere nel suo sguardo una perfetta sintesi di ciò che pensavano Anselmo, Gustavo e Carlo, e ciò che lo sguardo di Marco comunicava. Andarono tutti al bar, senza riuscire a convincere Marco, che rimase lì, imperterrito, a guardarla.
Lo show di Ironia era finito. Mentre risaliva gli scalini che portano ai camerini, cadde, si fracassò la testa e morì.
E vissero tutti felici e contenti.